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Oltre la metà (56%) delle aziende che riscontrano impatti negativi sul proprio business a causa del COVID-19 li ricollega alle discontinuità nella supply chain. La movimentazione di materiali, forniture e beni appare colpita in modo particolarmente significativo. Il 44,6% ha segnalato come principale discontinuità i ritardi nelle forniture, mentre il 34% ha risentito di problemi logistici e il 24,3% ha sperimentato limitazioni al commercio internazionale.
Le discontinuità hanno determinato un calo delle vendite e dei ricavi per il 56,4%. Il 39,1% ha inoltre riscontrato un calo della produzione e il 34,8% un incremento dei costi operativi.
Per mitigare i rischi per la supply chain, un’elevata percentuale di aziende sembra seguire la buona pratica dei 4 passaggi. Il punto di partenza è comunicare ai fornitori le aspettative (57,4%), seguito dalla richiesta di fornire informazioni specifiche (44,2%), dalla realizzazione di audit (40,9%) e dalla richiesta ai fornitori di implementare azioni di miglioramento (38,9%).
Da notare che il 33,5% afferma di avere ampliato il parco fornitori e solo il 5,5% di averlo ridotto. Il dato suggerisce che le aziende stiano tentando in modo sistematico di distribuire il rischio, anziché puntare su un’unica opzione. La pandemia ha evidenziato un nuovo livello di imprevedibilità e instabilità che le aziende devono attrezzarsi per affrontare.
Le aziende per le quali prodotto e sicurezza sono le maggiori preoccupazioni tendono a focalizzarsi sul dialogo strutturato e il miglioramento continuo. Si parte dal comunicare chiaramente le aspettative (74,9%), richiedere azioni di miglioramento (67,4%), chiedere ai fornitori di trasmettere specifiche informazioni (62,3%), fino ad eseguire assessment (58,6%). Le aziende più preoccupate dalle problematiche finanziarie tendono a seguire uno schema simile. Il 65% comunica le aspettative ai fornitori, il 51,4% richiede informazioni specifiche e il 49,3% esegue assessment.
D’altro canto, quando la volatilità dei mercati è considerata il maggior rischio, le imprese tendono innanzitutto ad ampliare il proprio parco fornitori (52,6%).
Durante la pandemia gli audit in loco presso i siti dei fornitori si sono ridotti per il 28,4% delle aziende. Il calo è stato in parte compensato dall’incremento nell’uso degli audit a distanza e della qualificazione documentale dei fornitori. I metodi alternativi si sono rivelati essenziali per mantenere i programmi di qualificazione dei fornitori e hanno contribuito a coprire quasi del tutto la riduzione degli audit fisici.
È incoraggiante notare come il 51,8% ritenga che gli audit a distanza possano contribuire in modo efficace all’impegno nel supply chain management. Anche se si tratta di un’azione di mitigazione immediata, forzata dalla pandemia, la sua rapida applicazione offre l’opportunità di analizzarne i vantaggi a lungo termine tanto alle aziende quanto ai partner di auditing e ai titolari degli schemi di qualificazione. Combinati con gli audit fisici, quando possibili, gli audit a distanza possono diventare complementari e rendere più efficiente la maggior parte dei programmi di qualificazione dei fornitori.
Il COVID-19 sta influenzando le strategie aziendali per la supply chain rivolte ai prossimi 3-5 anni. Il principale cambiamento previsto riguarda l’individuazione di fornitori alternativi (57,3%), seguita, con punteggi minori, dalla revisione dei criteri di qualificazione (36,2%), l’introduzione della digitalizzazione (35,9%) e la revisione delle pratiche di gestione degli stock (35,4%).
Guardando alle tecnologie già applicate o il cui uso è previsto nei prossimi 3 anni, il 40,6% indica gli audit a distanza. Il 35,8% sta già utilizzando o pianificando di adottare i big data analytics per migliorare i processi decisionali e il 27,7% sta già utilizzando o prendendo in considerazione la tecnologia blockchain per abilitare la tracciabilità.
L’impatto negativo causato dal COVID-19 varia secondo il settore e le industrie manifatturiere risultano colpite in maniera particolarmente severa. Tra le aziende dell’Automotive, per esempio, due terzi (il 66,6%) riferiscono impatti negativi causati dalle discontinuità nelle catene di fornitura, contro il 55,8% della media del campione, cifra che sale al 63,4% tra i produttori di parti metalliche. Di conseguenza, in questi settori le aziende sembrano doversi confrontare con conseguenze finanziarie significative. Nell’Automotive, il 76,8% dei rispondenti ha constatato un calo nelle vendite e nei ricavi e il 56,8% ha dovuto ridurre la produzione. Tra i produttori di parti metalliche, il 61,7% ha riscontrato un calo delle vendite.
In altri settori le discontinuità e le relative conseguenze appaiono meno severe. Nel Food & Beverage, ad esempio, il 46,9% (rispetto a una media del 38,7%) riferisce un impatto nullo o limitato. Sebbene anche in questo settore il 48,8% delle aziende faccia registrare una riduzione delle vendite, solo il 30% ha sperimentato limitazioni operative. Il quadro è simile nel settore ICT, in cui il 51,5% non ha registrato discontinuità e il 32,4% ha riferito di non risentire di conseguenze significative.
Scopri di più sui leader: impatto e approccio
Come stanno gestendo le proprie supply chain le aziende più colpite dalla pandemia?
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